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La Rivoluzione Eretta: O Perché Gli Esseri Umani Camminano Eretti

La Rivoluzione Eretta: O Perché Gli Esseri Umani Camminano Eretti

The Upright Revolution 4


Italian

Giulia Zuodar

Tanto tempo fa gli esseri umani camminavano a quattro zampe, proprio come tutte le altre creature quadrupedi. Gli esseri umani erano più veloci di lepre, leopardo o rinoceronte. Gambe e braccia erano tra loro più affini di ogni altro organo: avevano simili articolazioni corrispondenti: spalle e fianchi; gomiti e ginocchia; caviglie e polsi; piedi e mani, entrambi che terminavano con cinque dita, con un’unghia su ogni dito. Le mani e i piedi avevano una disposizione simile delle cinque dita dall’alluce al pollice fino ai mignoli. A quei tempi il pollice era vicino alle altre dita, come l’alluce. Le gambe e le braccia si chiamavano fra loro cugine.

Si aiutavano fra loro a portare il corpo ovunque volesse andare: al mercato, ai negozi, su e giù dagli alberi e dalle montagne, ovunque ci fosse bisogno di movimento. Anche in acqua, lavoravano insieme a dovere per aiutare il corpo a galleggiare, nuotare o tuffarsi. Avevano una relazione democratica e egualitaria. Potevano anche usare il prodotto di altri organi, per esempio il suono dalla bocca, l’udito dall’orecchio, l’odorato dal naso, e persino la vista dagli occhi.

Il loro ritmo e la fluida coordinazione rendevano le altre parti verdi d’invidia. Gli dava fastidio prestare il proprio talento specifico alle cugine. La gelosia le rendeva cieche al fatto che erano gambe e braccia a portarle in giro. Cominciarono a tramare contro le due paia.

Lingua prese in prestito un piano da Cervello e lo attuò all’istante. Cominciò a farsi domande, ad alta voce, circa le rispettive facoltà di braccia e gambe. Chi era più forte, si domandava. Le due membra cugine, che non si erano mai preoccupate di ciò che le altre avevano e di cosa potevano fare, ora prendevano in prestito il suono dalla bocca e cominciavano a sostenere di essere più importanti delle altre per il corpo. Presto si passò a chi fosse più elegante; le braccia si vantavano delle lunga dita sottili delle mani, allo stesso tempo facendo commenti sprezzanti sulle dita dei piedi corte e tozze. Per non essere da meno, le dita dei piedi contrattaccarono parlando in modo sprezzante delle dita magre, cugine ridotte alla fame! Andarono avanti così per giorni, a volte compromettendo la capacità di lavorare insieme in modo efficiente. Alla fine ne venne fuori una questione di potere: si rivolsero agli altri organi perché risolvessero la controversia.

Fu Lingua a suggerire una gara. Un’idea magnifica, concordarono tutti. Ma cosa? Qualcuno suggerì un incontro di lotta – gambe contro braccia. Altri proposero un duello di scherma, un gioco di destrezza, una gara di corsa, o un gioco come gli scacchi o la dama, ma furono tutti esclusi perché difficili da realizzare o ingiusti per l’uno o l’altro arto. Fu Lingua ancora, dopo aver preso in prestito il pensiero da Cervello, a suggerire una soluzione semplice. Ciascun gruppo d’organi avrebbe proposto una sfida, a turno. Braccia e gambe accettarono.

La sfida ebbe luogo in una radura nella foresta, vicino a un fiume. Tutti gli organi erano in massima allerta contro i pericoli o qualunque cosa potesse cogliere il corpo di sorpresa, ora che gli organi erano impegnati in una lotta interna. Gli occhi scrutarono in lungo e in largo alla ricerca del più minuscolo pericolo da qualunque distanza; le orecchie si prepararono a udire il suono più impercettibile da qualunque distanza; il naso liberò le narici meglio che poté per individuare la traccia di qualsivoglia pericolo sfuggisse agli occhi vigili e alle orecchie in ascolto; e la lingua era pronta a gridare e urlare: pericolo.

Vento diffuse la notizia della gara ai quattro angoli della foresta, acqua e aria. Gli animali a quattro zampe furono tra i primi a radunarsi, molti tra quelli più grandi portando ramoscelli verdi in segno di pace. Era una folla colorata di Leopardo, Ghepardo, Leone, Rinoceronte, Iena, Elefante, Giraffa, Cammello, Vacca dalle corna lunghe e Bufalo dalle corna corte, Antilope, Gazzella, Lepre, Talpa e Ratto. Gli abitanti acquatici, Ippopotamo, Pesce, Coccodrillo, distesero la parte superiore del corpo sulla riva, lasciando il resto in acqua. Quelli a due zampe, Struzzo, Faraona e Pavone sbattevano le ali per l’eccitazione; gli uccelli cinguettavano dagli alberi; Grillo cantò tutto il tempo. Ragno, Verme, Centopiedi, Millepiedi strisciarono sulla terra o sugli alberi. Camaleonte camminò furtivo, circospetto, prendendosi tutto il tempo necessario mentre Lucertola corse qua e là, senza mai fermarsi in nessun punto. Scimmia, Scimpanzé, Gorilla saltavano da un ramo all’altro. Persino gli alberi e i cespugli oscillavano delicati da un lato all’altro, si inchinavano e poi a turno si rizzavano immobili.

Bocca aprì la gara con una canzone:

Facciamo così per esser felici
Facciamo così per esser felici
Facciamo così per esser felici
Perchè noi tutti
Veniamo da una sola natura

Braccia e Gambe giurarono di accettare il risultato con dignità: senza capricci, minacce di boicottaggio, scioperi o ritardi.

Braccia formularono la prima sfida: gettarono un pezzo di legno a terra. La gamba, sinistra o destra, o le due insieme, doveva raccogliere il pezzo di legno da terra e lanciarlo. Le due gambe potevano consultarsi l’una con l’altra, a ogni momento durante la sfida, e fare uso delle dita dei piedi, individualmente o tutte insieme, in qualunque ordine per compiere la missione. Provarono a girarlo, spingerlo; provarono ogni sorta di combinazione ma non riuscirono a raccoglierlo bene: e quanto a muoverlo, il meglio che riuscirono a fare fu di calciarlo via di qualche centimetro. A quella vista, Dita presero in prestito i suoni dalla bocca e risero, e risero ancora. Braccia, le sfidanti, sfilarono, come in un concorso di bellezza, ostentando il loro aspetto sottile, e poi raccolsero il pezzo di legno in diverse combinazioni. Lo lanciarono lontano nella foresta, suscitando un sospiro collettivo di ammirazione da concorrenti e spettatori. Fecero sfoggio di altre abilità: raccolsero minuscoli granelli di sabbia da una ciotola di riso; infilarono aghi; fabbricarono piccole carrucole per trasportare legno più pesante; fabbricarono alcune lance e le lanciarono piuttosto lontano, mosse e azioni che le dita dei piedi potevano solo sognare. Gambe non poterono fare altro che rimanersene sedute lì e meravigliarsi allo sfoggio di destrezza e flessibilità delle loro snelle cugine. Le braccia degli spettatori tuonarono di ammirazione e solidarietà per le loro simili, cosa che turbò assai le gambe. Ma non intendevano darsi per vinte: anche sedute lì un po’ cupe, con gli alluci che disegnavano piccoli cerchi nella sabbia, cercavano di farsi venire in mente una sfida vincente.

Infine, fu la volta di gambe e dita dei piedi di formulare una sfida. La loro, dissero, era semplice. Le mani avrebbero dovuto portare tutto il corpo da una parte all’altra del cerchio. Che stupida sfida, pensarono le dita arroganti. Era una scena che meritava d’esser vista. Tutto il corpo era capovolto. Le mani toccavano il terreno; gli occhi erano vicini al terreno, la visuale assai ristretta dalla prossimità al terreno; la polvere entrava nel naso, facendolo starnutire; gambe e dita dei piedi galleggiavano in aria: nyayo juu, gridavano gli spettatori, e cantavano gioiosi.

Nyayo Nyayo juu
Hakuna matata
Fuata Nyayo
Hakuna matata
Turukeni angani

Ma la loro attenzione era fissa su mani e braccia. Organi che solo qualche minuto prima avevano dimostrato un’incredibile gamma di capacità si muovevano a malapena di un metro. Dopo qualche passo, le mani gridarono di dolore, le braccia barcollarono, ondeggiarono e lasciarono cadere il corpo. Si riposarono e poi fecero un altro tentativo. Questa volta provarono a divaricare le dita meglio che poterono per fare presa sul terreno, ma solo i pollici furono in grado di estendersi. Provarono a fare la ruota ma questa mossa fu squalificata perché per il completamento coinvolgeva anche le gambe. Era il turno delle dita dei piedi di ridere. Presero in prestito forti toni gutturali dalla bocca per distinguere la loro risata dai toni striduli che avevano usato le dita. Udendo tanto disprezzo, le braccia si infuriarono e fecero un ultimo tentativo disperato di reggere il corpo. Non riuscirono a fare un passo. Esauste, le mani e dita rinunciarono. Le gambe furono felici di mettere in mostra la propria prodezza atletica: marciarono sul posto, trottarono, corsero, fecero alcuni salti in alto, in lungo, senza lasciare cadere il corpo nemmeno una volta. Tutti i piedi degli spettatori pestarono per terra in segno di approvazione e solidarietà. Le braccia alzarono le mani per protestare contro questa mancanza di spirito sportivo, dimenticando troppo facilmente che a cominciare il gioco erano state loro.

Ma tutti, inclusi gli spettatori, notarono qualcosa di strano circa le braccia: i pollici che si erano divaricati nel tentativo di reggere il corpo erano rimasti separati dalle altre dita. Gli organi rivali stavano per ricominciare a ridere quando notarono qualcos’altro: ben lungi dal rendere le mani meno efficienti, il pollice separato ne esaltava la capacità di afferrare e impugnare. Cos’era? La deformità tramutata nel potere di dare forma!

La disputa tra gli organi per decidere il vincitore andò avanti per cinque giorni: il numero di dita in ogni arto. Ma per quanto ci provarono non furono in grado di dichiarare un sicuro vincitore; ciascun tipo di arto era il migliore in ciò che faceva meglio; nessuno poteva farcela senza l’altro. Cominciò così una sessione di congetture filosofiche: cos’era il corpo, ad ogni modo, chiedevano tutti, e si resero conto che il corpo erano loro tutti insieme; erano l’uno nell’altro. Ogni organo doveva funzionare bene perché tutti funzionassero bene.

Ma per evitare una simile diatriba in futuro e per evitare di darsi noia l’un l’altro, fu deciso da tutti gli organi che da allora in poi il corpo avrebbe camminato eretto, i piedi ben piantati per terra e le braccia su in alto. Il corpo era contento della decisione ma avrebbe concesso ai bambini di camminare carponi per non dimenticarsi delle proprie origini. Si divisero i compiti: le gambe avrebbero portato il corpo, ma una volta giunti a destinazione, le mani avrebbero fatto tutto il lavoro che richiedeva di fare o reggere strumenti. Mentre le gambe e i piedi svolgevano il compito pesante di trasportare, le mani afferravano e usavano i loro talenti per modellare l’ambiente, e assicurarsi che il cibo raggiungesse la bocca. La bocca, o meglio, i denti, lo avrebbero masticato e mandato giù nella gola alla pancia. Pancia avrebbe spremuto tutti i principi nutritivi e poi li avrebbe versati nel sistema di canali attraverso i quali i principi nutritivi sarebbero stati distribuiti in tutti i meandri del corpo. Poi pancia avrebbe portato il materiale usato nel suo sistema di scarico, da dove il corpo lo avrebbe depositato nei campi aperti o seppellito sotto la terra per arricchirla. Le piante avrebbero dato frutto; le mani ne avrebbero colto una parte e lo avrebbero messo in bocca. Oh sì, il cerchio della vita.

Anche giochi e divertimenti furono divisi di conseguenza: cantare, ridere e parlare furono lasciati alla bocca, la corsa e il calcio perlopiù alle gambe, mentre il baseball e il basket furono riservati alle mani, salvo che erano le gambe a dover correre. In atletica, le gambe avevano tutto il campo per sé, perlopiù. La chiara divisione del lavoro fece del corpo umano una formidabile macchina biologica, capace di vincere in astuzia persino gli animali più grandi per quanto poteva realizzare in quantità e qualità.

Tuttavia, gli organi del corpo si resero conto che l’accordo permanente a cui erano giunti poteva ancora causare conflitto. La testa, stando lassù, poteva sentire di essere migliore dei piedi che toccavano per terra, o di essere la padrona, e gli organi sotto di lei soltanto dei servi. Misero in chiaro che in termini di potere, la testa e qualunque cosa sotto di lei, erano eguali. Per rimarcarlo, gli organi si assicurarono che dolore e gioia di qualunque organo fossero sentiti da tutti. Avvertirono la bocca che quando diceva il mio questo o quello, stava parlando per tutto il corpo e non come il solo proprietario.

Cantarono:
Nel nostro corpo
Non c’è servitore
Nel nostro corpo
Non c’è servitore
Ci serviamo a vicenda
L’uno per l’altro
Ci serviamo a vicenda
L’uno per l’altro
Ci serviamo a vicenda
La lingua nostra voce
Tu mi sostieni e io ti sostengo
Costruiamo un corpo sano
Tu mi sostieni e io ti sostengo
Costruiamo un corpo sano
La bellezza è unità

Insieme lavoriamo
Per un corpo sano
Insieme lavoriamo
Per un corpo sano
L’unità è il nostro potere

Questo diventò l’Inno del Corpo Unito. Il corpo lo canta ancora oggi e questo è quel che fa la differenza tra esseri umani e animali, o quelli che hanno respinto la rivoluzione eretta.

Nonostante quel che videro, gli animali a quattro zampe non avrebbero avuto nulla di questa rivoluzione. Il canto era una faccenda ridicola. La bocca era fatta per mangiare e non cantare. Formarono il partito conservatore della natura e rimasero attaccati ai loro modi senza mai cambiare abitudini.

Quando gli esseri umani imparano dal sistema degli organi, fanno bene; ma quando vedono il corpo e la testa come fazioni in guerra, uno al di sopra dell’altra, diventano simili ai cugini animali che hanno respinto la rivoluzione eretta.


Giulia Zuodar holds a PhD in translation from Trinity College Dublin and is a freelance translator. She mainly focuses on literary translation, with a special interest in postcolonial literatures and literatures in English.

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